Dal Festival dei Tulipani di Seta Nera: tre corti scelti da E-goTimes
Il Festival dei Tulipani di Seta Nera continua a far parlare di sé. Questa volta ci soffermiamo su tre corti che, per motivi diversi, sono degni di nota.
Prima di tutto, bisogna dire che il corto è un tipo di prodotto audiovisivo piuttosto breve, da non confondersi con la pubblicità o con il video musicale, pur avendo una sintesi piuttosto simile.
Per il Festival international du court métrage de Clermont-Ferrand il cortometraggio può durare sino ad un massimo di 30′, mentre in Italia è consuetudine che si raggiungano i 75′. Questa cosa fa riflettere sulle eventuali differenze che ci sono con un mediometraggio e il lungometraggio, ma non ci soffermeremo ora su questo.
Da Méliès a Tarantino molti autori si sono espressi attraverso questa forma, creando piccoli capolavori.
Alcuni giovani registi, poi, usano il cortometraggio come opera prima, ovvero la loro prima opera prodotta, quella in cui c’è già la firma dell’autore e che spesso attira l’interesse dei produttori e dei festival.
Il Festival dei Tulipani di Seta Nera presenta opere prime e non, ma ciò non crea alcun pregiudizio, anzi fa pensare che in Italia ci siano giovani promesse che aspettano solo di essere scoperte.
I corti che abbiamo scelto di presentare ai nostri lettori sono Le ali velate di Nadia Kibout , Era Nico di Mauro Messina e Giulio Corso e Maria di Francesco Afro De Falco. Le prime due sono opere prime, la terza no.
Imma deve recarsi a Salerno per il compleanno della sua nipotina, alla quale vuole portare un regalo: un coniglietto. Consultando internet, entra nel sito Blablacar, dove offrono passaggi in auto. Contatta Nadia, giovane donna araba, che veste il velo secondo i precetti dell’Islam, anche la giovane ragazza si mette in viaggio nel week end per raggiungere Salerno con suo figlio. Nadia è una ragazza gentile e solare, rimasta vedova. Imma verrà coinvolta, suo malgrado, in avvenimenti che caratterizzeranno un viaggio avventuroso.
La trama di Le ali velate è quella di un viaggio e dell’incontro tra due donne diverse per cultura. Il racconto è rafforzato dalla veridicità dell’accaduto, stando a quel che dice la regista, il che permette di dare valore ai silenzi e spazio alla luce. La fotografia è toccante, si dà persino dato fuoco a una macchina, cosa che non intimidisce le riprese e permette all’autrice di raccontare il calore di un abbraccio materno con delicatezza e femminilità.
La diversità, il tema di quest’anno del festival, è narrata attraverso lo sguardo della donna occidentale, che rifletterà sul proprio modus vivendi accompagnando la protagonista nel suo viaggio di riscossa interiore e sociale.
Nicola è un ragazzo come altri, una notte viene derubato e nel tentativo di difendersi, uccide l’aggressore. Gli arresti domiciliari cambiano per sempre la sua vita. Era Nico è la storia di una prigionia del corpo e dell’anima.
La regia è intelligente, vogliamo ricordare il dialogo tra il protagonista e la ragazza, di cui si nota un seno molto intrigante sotto la canottiera bianca, che si riflette sui lati del tostapane.
Ma non è solo il lato poetico della ripresa, buono è anche il punto di vista. Gli occhi della telecamera tagliano la visuale da più punti, come se stessimo spiando ciò che accade. E il corto sembra più che drammatico. Dalla dimensione audiovisiva siamo proiettati in quella dell’arte pittorica neo-classica. Jacques Louis David riprese la morte del suo amico giornalista e rivoluzionario, ispirando anche Munch e Picasso in un secondo tempo. E l’immagine è recuperata e usata nel film, come se la storia della prigionia del corpo e dell’anima di un essere umano, fosse quella della sua rappresentazione. Un frame del film introduce, infatti, La morte di Marat di David del 1793.
In che tempo siamo? Il mistero s’infittisce e viene voglia di rivedere il corto.
Il corto Maria affronta il tema della gravidanza isterica, toccando il tema della diversità, anche sotto il profilo visivo, in modo egregio.
“Diventare madre è la cosa più bella del mondo”. Come può capire un uomo una sensazione del genere?
Il regista indossa i panni dell’altro e ci parla di Anna, che è una maestra delle elementari, non ha mai avuto figli, ma stare con i bambini e osservarli mentre crescono è tutta la sua vita. Antonio, suo marito, lavora all’osservatorio astronomico, passa le notti davanti al telescopio.
Osservare l’universo è tutta la sua vita.
Una serie di eventi straordinari irrompe: l’uomo scopre una supernova e la dimensione della rappresentazione audiovisiva ricorda lo stile di Malick, mentre Anna scopre che il test di gravidanza è positivo.
Per ironia della sorte, il corto non è un’opera prima.
L’osservatorio astronomico dove il corto è girato è un set davvero particolare, lo abbiamo visto ultimamente utilizzato come ambientazione in La La Land. Qui però assume un valore estetico più solenne.
L’inquadratura aerea finale ci mostra un occhio, quasi vertoviano, in cui la coppia si muove. Le palpebre, diciamo, sono semichiuse e permettono di vedere un uomo e una donna che si abbracciano. Ma chi vede cosa? Tutta la grammatica è scompaginata dall’idea che sia qualcosa di esterno, nel cielo, che guardi le gesta umane. E la meccanica della ripresa diventa una sinfonia visiva.
L’inquadratura della supernova, a quasi metà del corto, è presagio di vita che si contrappone all’errore fatale di una gravidanza isterica. Il litigio tra i due, narrato con il montaggio della rottura di una vasca per pesci rossi, tocca l’anima.
In quel momento qualcosa di potente accade. La protagonista si perde nell’acqua del mare, si libera.
Il tema della diversità esplode in mille significati emotivi.
Maria, un corto di soli 15′, è un piccolo film come gli altri scelti e altri ancora.
Il Festival dei Tulipani di seta nera offre, come un labirinto, la possibilità di perdersi e di riflettere sulla potenza espressiva e sul valore del cinema italiano oggi.
– Veronica Pacifico