Think tank
Esisteva un tempo, un mondo dove sin da quando si era nati bisognava conoscere gli istinti più bassi e quelli più nobili. Questo mondo era il mondo di chi credeva di aver conosciuto tutti i mondi possibili. Si andava a letto quando era buio e ci si svegliava di giorno, nel tempo di luce. In questo lasso di tempo, le così chiamate persone, vivevano il tempo di un giorno con i loro pensieri che giravano vorticosamente nella mente senza trovare pace. Le persone parlavano e tiravan fuori con la voce i loro pensieri, ma questi ricadevano a terra e si perdevano in impalcature sgraziate e spesso prive di senso. I pensieri erano frazioni di tempo. Non solo perché rappresentavano momenti del passato, tutto ciò che si era già vissuto, ma perché se fossero stati riordinati, avrebbero creato un discorso ben preciso, all’interno del quale ciascun uomo si sarebbe potuto riconoscere. Erano come frammenti di una fotografia, tessere di un mosaico, pezzetti di puzzle. I pazzi, poi, tentavano di esprimere i pensieri che altri non volevano sentire, ma non creavano problemi alla società perché erano gli unici senza voce a differenza degli psicopatici, la maggioranza, che di voce ne avevan e facevano un gran rumore. Questi erano persone prive di empatia e riempivano la Terra, il luogo dove vivere per eccellenza, delle loro prese di posizione e si facevano forti delle idee dei pazzi, ignorando a se stessi la cosa e non sapendo motivare neanche perché fossero psicopatici. Si riunivano in gruppo e si facevano forti di questo. I pazzi, invece, vivevano distaccati da questi e dagli altri pazzi. I pazzi avevano scelto la solitudine, che era un luogo da cui non si può tornare indietro con qualcuno. Per questo erano chiamati pazzi. In un luogo del genere ciascuno poteva dire cosa provava, ma non veniva ascoltato e per questo era sempre solo, cioè con se stesso. Gli psicopatici questa cosa non la potevano comprendere perché trovavano ignobile tornare da un luogo senza alcuno accanto, ma ne parlavano benissimo male per ritrovarsi uno accanto all’altro come chi si fosse trovato sempre al centro di un sisma e stesse spalla a spalla con altri e quindi, per questa vicinanza fisica, fosse una persona di una qualche superiorità interiore.
Come se la fotografia che si portassero dentro fosse senza immagine, vuota!
Per i pazzi tutto questo era inaccettabile perché di vuoto c’è solo la solitudine e, anche lì, ci sarebbe stato da ragionarci. Insomma, i pazzi credevano che anche il vuoto avesse un significato e per questo non davano così tanta importanza al tempo. Gli psicopatici, al contrario, dovevano avere sempre tutto sotto controllo e usavano le proprie energie vitali per cambiare il colore della pelle nella stagione dell’estate, per poi rifarlo nell’inverno, dovevano leggere e vedere film sì, ma solo per arrivare al sacro atto della copulazione.
I pazzi non capivano e facevano del sesso, una buona scusa per stare lontani dal genere umano. Capitava poi che si spogliassero e dessero vita a orge in cui tutti erano felici, alcuni volavano tenendosi per mano come in un quadro di Chagall.
Chagall era colui che teneva pulito il Think Tank, il grande serbatoio. Era l’essenza di tutto che permetteva a tutti di conoscere e capire, se tu fossi pazzo o psicopatico. Se tu, per esempio, adesso ti fossi trovato a leggere queste parole, ne avresti colto il senso o le immagini o le due cose in coesione e avresti capito di chi stessimo parlando. Ti saresti riconosciuto pazzo o psicopatico e non avresti provato alcuna forma di colpa o commiserazione. Avresti sbuffato annoiato dell’ennesima parata pseudo-cristiana o ti saresti creduto uno scrittore a confronto, ma in fondo poi, di cosa? Lettore, poi, di cosa? Probabilmente, se avessi trovato l’opportunità, avresti lasciato un commento su ciò che sarebbe stato giusto per il testo per esprimersi come un testo. Ti saresti sentito con la coscienza a posto. Avresti espresso ciò che provi, ma sino a quando? Sino a dove conosci le tue vere necessità? Hai davvero bisogno di leggere il nome dell’autrice di questo testo? E se fosse la password per entrare nel Think Tank? Credevi che fosse la Terra, lo so. Ma in fondo, abbiamo una sola lingua per parlare di infiniti mondi e altrettanti modi di essere e ci dobbiamo accontentare di viaggiare con un’immaginazione immaginata e con un sentire guidato sin da quando siamo appena nati.
Probabilmente, quando nasciamo, abbiamo già tutto incorporato dentro di noi, altrimenti come ci verrebbe così naturale apprendere? È più facile, no? Che dimenticare… Abbiamo l’impressione di dimenticare, ma tutto si muove in noi come quei pezzetti di fotografia strappata dentro che prima ho descritto.
Poco fa, ti ho offeso lettore e, magari, ti sei dimenticato cosa ti ho detto. Ma come ti senti adesso? Quella scia di emozioni è come un cielo stellato da cui non riusciamo a staccare gli occhi.
“Dimenticare” son due personaggi e un cane che scappano da un istituto a cui si accede sin da piccoli, come se fosse un orfanotrofio, perché tutti, in fondo, hanno dei genitori e tutti non ne hanno un pò.
L’Istituto si chiama l’Istituzionale perchè non può rappresentare che se stesso. L’Istituzionale è pieno di persone che crescono e vanno a dirigere altri istituti dove non viene garantita la salute mentale, ma dove tutti dicono di star bene.
Son tutti numerati come se fossero scatole e non si aprono come se fossero pacchi da mettere in ordine.
Una volta, una donna adulta molto bella saggia e femminile, vedendo arrivare uno nuovo gruppo di bambini e bambine, incrociò lo sguardo con uno di quelli. Loro passarono per essere accolti in sala, lei salì per le scale e scoppiò a piangere presa da un dolore allo stomaco. Non aveva mai provato una sensazione più struggente e non aveva parole per descriverla, solo sensazioni che le pervasero il corpo. Passò del tempo, prima di rincontrarlo. Aveva i capelli poco più corti e lo stesso sorriso. Lei gli rivolse la parola e gli chiese come si trovava nell’Istituzionale. Il bambino non disse niente e la prese per mano. La portò in un posto dove non si poteva accedere. Lì c’era un buffo cane. Lei lo accarezzò e rideva rideva e il bambino non diceva niente, la guardava. Il giorno dopo si rividero e anche quelli che venivano. Poi, lui la prese per mano, tirò il cane con una specie di guinzaglio e tutti e tre attraversarono una crepa per il muro e si persero in silenzio.
Nessuno ha mai saputo che fine avessero fatto quei tre, dove fossero andati e nessuno ne ha più avuto memoria.
L’unica cosa certa è che nessuno avesse idea da dove fossero arrivati.
Che sia un pazzo o uno psicopatico a raccontare questa storia non importa, ciò che conta è che siamo in grado di dimenticare ancora.
– Veronica Pacifico
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