T2:Trainspotting
Un sequel molto (tossico)dipendente.
“Il mondo cambia ma noi non cambiamo” dice Begbie e a vedere T2:Trainspotting, sequel del cult degli anni Novanta, non si può che dargli ragione: vent’anni dopo i giovani eroinomani delle squallide periferie scozzesi non sono affatto cambiati, ma sono soltanto visibilmente invecchiati.
T2:Trainspotting sembra uno di quegli vecchi filmini di famiglia che riguardi per ritrovarti catapultato nel passato.
Il regista Danny Boyle gioca con questo passato e con il fascino di una mitologia che resta ancora oggi intatta.
Tutto, dal plot allo stile, richiama alla memoria dello spettatore il celebre e fortunato predecessore: la storia appare un mero pretesto per mettere in atto questa operazione nostalgica, e così pure lo stile, dove, ad esempio, l’uso eccessivo del fermo-immagine, appare anche immotivato rispetto all’utilizzo che se ne faceva nel primo film e che diede vita a delle vere e proprie scene cult; come si può dimenticare il ghigno di Mark immobilizzato dalla macchina da presa mentre ferma un’automobile? Una scena che, al pari di molte altre, ritorna quasi identica ma semplicemente posizionata non nell’incipit bensì a metà film.
Il costante gioco di rimandi e citazioni provoca il piacere nello spettatore nostalgico ma soffoca sin da subito qualsiasi possibilità di novità in un già conosciuto. Tuttavia i momenti migliori sono proprio quelli in cui vengono mostrate o ri-utilizzate sequenze del primo Trainspotting, cioè i momenti più iconici e celebri ma anche quelli più dolorosi, che danno vita a molte sequenze in cui vecchie immagini “sporche” vengono montate accanto alle nuove immagini realizzate in digitale, decisamente più “pulite”. Questa giustapposizione delle immagini dei due film rappresenta bene, sotto l’aspetto visivo, l’alternanza temporale tra le reminiscenze del passato e il presente che è irrimediabilmente segnato negativamente da quel passato molto ingombrante.
Forse l’unica cosa che differenzia T2:Trainspotting dal mitico predecessore è la ripulitura generale dal lerciume: se in Trainspotting gli aspetti più disgustosi della decadenza fisica (e morale) provocata dalla droga, erano materialmente mostrati in tutta la loro crudezza alla vista dello spettatore, nel sequel non c’è più presenza di nauseabondi escrementi corporali e quant’altro. La droga non è più il motore dell’azione, mentre lo sono la nostalgia ma anche il rimpianto del passato, per gli errori e le tragedie che si potevano evitare, la rabbia di Sick Boy e la sete di vendetta di Begbie per il tradimento di Mark.
T2:Trainspotting, nel mettere in scena il paragone con l’irraggiungibile opera che gli ha dato vita, è un prodotto che può vivere solo di luce riflessa e che preso a sé stante non lascia una granché a parte la fastidiosa sensazione di avere la colpa di aver scalfito almeno un pò il valore intoccabile di un film di culto.
In copertina: foto di Jaap Buitendijk
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