Scene dal Faust della Compagnia Lombardi Tiezzi: il lato umano del demonio
Scene dal Faust. Uno storico teatro di Siena, per un grande mito con cui la Compagnia Lombardi Tiezzi ha unito spettacolo, cultura, antico, moderno, storia dell’arte e tecnologia.
Con Sandro Lombardi, Leda Kreider, Marco Foschi, Dario Battaglia, Alessandro Burzotta, Nicasio Catanese, Velentina Elia, Fonte Fantasia, Francesca Gabucci, Ivan Graziano, Luca Tanganelli e Lorenzo Terenzi, che si muovono alla perfezione guidati dalle coreografie di Thierry Thieû Niang, la regia di Federico Tiezzi, la traduzione di Fabrizio Sinisi, le scene e costumi di Gregorio Zurla, le luci di Gianni Pollini, il regista assistente Giovanni Scandella, il canto di Francesca Della Monica. La produzione è del Teatro Metastasio di Prato, Compagnia Lombardi-Tiezzi, in collaborazione con Fondazione Sistema Toscana/Manifatture Digitali Cinema Prato e Teatro Laboratorio della Toscana/Associazione Teatrale Pistoiese, lo spettacolo è stato presentato al Teatro dei Rozzi di Siena il 1. e il 2 febbraio 2020.
Tiezzi ha precisato in varie interviste proposte da emittenti radio-tv:
Io metto in scena la prima parte interna della tragedia… Goethe cercava di andare oltre la conoscenza, noi cerchiamo di andare oltre la tecnologia”.
Il regista ha poi aggiunto che, in base ai suoi studi ed all’analisi del testo, quello che il Faust incontra è il suo inconscio. In particolare, due importanti riferimenti psicoanalitici e letterari hanno sostenuto l’interpretazione del drammaturgo toscano. Un caso di possessione demoniaca del XVI secolo, di cui si occupò Freud rilevando che, quando l’inconscio si ammala, si perde ed entra nella notte dei sensi e I fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij, dove, con il linguaggio della letteratura, lo scrittore sostiene che il demonio è un prodotto totalmente umano.
Un tema di questa portata non poteva non affascinare Tiezzi, che ha raccontato di aver coltivato questo desiderio per trent’anni; da quando al Teatro Studio vide in scena il Faust di Strehler. Da quel momento altri Faust, teatrali e cinematografici hanno costellato la vita del regista, a partire dal Faust di Massimo Castri, fino a quello di Sokurov. Anche Thomas Mann, di cui Tiezzi è un cultore, ha rappresentato una fonte importante, il regista lo ha letto in tre diverse traduzioni.
Con una drammaturgia interna essenziale tradotta da Fabrizio Sinisi, Federico Tiezzi affronta, attraverso l’opera di Goethe, il grande mito di Faust. Goethe vi lavorò per sei decenni, dal 1772 al 1831, costruendo un’opera monumentale intorno alla figura del medico e mago cinquecentesco. Tiezzi lo ha trasposto ai nostri tempi sottolineando l’umanizzazione della figura demoniaca. Come se l’inconscio si presentasse davanti a Faust in carne e ossa.
Faust nell’opera rappresenta una sorta di Wittenstein, che fa della conoscenza il motore principale della propria vita, ma a un certo punto si rende conto che non basta. Ecco l’incontro con la propria anima, con le proprie pulsioni. Come apparve a Grotowski, il regista polacco che nel 1986 si trasferì in Toscana, in un giovanile Faust di Malowe, il Bene e il Male sono figli del medesimo desiderio di potenza, di andare oltre i confini.
L’inizio, rigorosamente a luci accese, è un prologo nel prologo. Gli attori appaiono sulla scena, vestiti di bianco occupati a fare un esercizio di meditazione mentre una melodia di John Cage attraversa il silenzio e accompagna con il canto la recitazione dei salmi. Una scritta dietro ci dice che le persone che vediamo in meditazione mirano a ottenere la levitazione dell’attore seduto al centro, se l’esercizio riuscirà, lo spettacolo sarà finito, altrimenti avranno inizio Scene da Faust.
Ovviamente la levitazione, metafora delle aspirazioni umane, non riesce. Si spengono le luci e nel candore di un bianco assoluto irrompono sulla scena uomini anch’essi vestiti di bianco, con tute e mascherine, che rendono ancora più attuale l’opera teatrale ed evocano le figure fantascientifiche della foresta portoghese del film Lo stato delle cose di Wim Wenders. Il mondo fisico e biologico é spinto a sfuggire come in una camera di compensazione e lo Streben goethiano, l’anelito, viene tradotto da Tiezzi in questo modo attraverso atmosfere visive che mostrano il punto in cui la forma incontra la forza del desiderio. Come accade per Don Giovanni, la spinta verso il cielo é l’eros. E colui che vuole il male compiendo il bene é Mefistofele. Uno specchio incrinato rappresenta Dio, tre Arcangeli sospesi a testa in giù sono appesi a delle corde tenute da ganci, come immagini cabalistiche, spogliati e in perizoma a prefigurare il precipizio di angeli, che, come Mefistofele, sono caduti sulla terra.
Solo Faust, interpretato da Marco Foschi, un attore promettente e capace, dotato di carisma che, seppur giovane, dà corpo al Faust e Mefistofele interpretato da Sandro Lombardi, insuperabile, considerato il miglior attore della sua generazione, sono vestiti di nero. Inizia la sfida al cielo, sia da parte di Faust, che dopo aver intrapreso la strada della filosofia e della scienza, si avvia sulla strada della magia, sia da parte di Mefistofele, ombra incappucciata, che compete con il Signore in una delle meravigliose scene:”Prologo in cielo”.
Lombardi, con grande maestria riesce a dare una connotazione tutta personale alla figura del demonio, con sfumature nuove, ironiche e surreali. Con una maschera clownesca espressionista, ci fa comprendere di essere perfettamente in grado di conoscere l’estensione dei possibili comportamenti umani e la profondità del propri, tirandoli fuori dal cilindro momento per momento.
La grandezza di Lombardi sta anche e soprattutto nella naturalezza che lo rende nudo mentre recita, come se ci stesse rivelando una parte di sé senza mai essere troppo preso da se stesso, ma con la capacità di guardare l’altro e facilitargli la parte nella scena stessa, anche prendendolo a metaforici schiaffi, in certi momenti e sedurlo in altri, per suscitare una reazione nel Faust. Oltre a questo Lombardi sa usare la voce come se fosse uno strumento musicale.
Mefistofele é il doppio di Faust: ”Una parte di quella forza che vuole sempre il male e compie sempre il bene”. La parte ombra senza la quale non potrebbe esserci la luce.
Anche Faust che invoca sia la dannazione che la redenzione si trova in un altra connessione doppia.
Tiezzi ha l’intuizione fantastica di suddividere l’opera in 13 scene, che, tutte illuminate da citazioni, musiche, colori diversi, si dipanano davanti ai noi spettatori. Come gli Screen di Gordon Craig, ogni scena rimanda luci, ombre, come se fossero altri specchi che assorbono e rimandano ciò che hanno assorbito mentre le forme dei corpi vengono scolpite dalle luci e la forza dei colori fa da sfondo ad ogni accadimento. La forza della parete bianca sullo sfondo accoglie e raccoglie definendo nuove leggi nell’arte del narrare.
Dopo l’entrata e la presentazione dei due personaggi maschili, l’uno il rovescio dell’altro, il tessuto stupefacente del racconto si intreccia con tragitti tecnologici che creano arazzi e spettacoli visivi, mentre le parole si inseguono e si sovrappongono.
Ogni attore, ogni oggetto e tutto ciò che ruota intorno ai personaggi, ha una ambientazione perfetta e riesce a mantenere viva l’attenzione del pubblico creando magiche alchimie fra la drammaturgia e la tecnologia. Anche T.S. Eliot viene evocato in scene che sembrano lande desolate sotto una lastra fotografica. E poi una grande lampada mentre il lembo di un mantello di feltro viene afferrato dai denti di un lupo imbalsamato e, in un “intermezzo visuale”, appare la scritta al neon Natura che evoca Joseph Beuys.
Tiezzi ha inserito nell’opera allievi del corso di alta formazione attoriale di Pistoia, dove è fissa la sua presenza insieme a quella di Lombardi. Una funzione pedagogica non di poco conto, che sta offrendo in filigrana ai giovani attori, la possibilità di costruirsi subito la loro professione futura. Una scuola quindi non solo per inseguire un sogno, ma anche per iniziare una carriera professionale di attore.
Ma l’opera ha anche un’altra importante funzione, come dice lo stesso regista:
Tutta la fatica che faccio è allo scopo di far riuscire lo spettatore a ricevere l’illuminazione personale. Come se avesse un Satori. Come se riuscisse ad avere uno scatto ed entrare nel proprio mondo interiore”.
Grande scoperta Leda Kreider, nei panni di Margherita, che canta magnificamente, si muove in maniera stupenda e dá fisicità a una Margherita-Gretchen che non mostra mai stonature o ridondanze.
Intanto Faust patteggia con Mefistofele, e riceve dalla strega e da un coro di attori infermieri una trasfusione di fisicità. L’accostamento a 2001 Odissea nello spazio di Kubric é inevitabile, ma nello sfondo, fra lettini che vanno e vengono e strumenti medici in vista che ricordano un obitorio, emerge anche il personaggio di Frankenstein, creatura di Mery Shelley, animato da una misteriosa scintilla elettrica.
Dopo la trasfusione Faust è pronto per conoscere l’amore, la sensualità, il piacere evocato dal quadro di Gustave Courbet intitolato L’origine della vita. Fra uomini in bombetta che evocano Magritte, costumi essenziali e meravigliosi, Margherita viene trasportata dentro il girone infernale della passione. Uccide prima la madre, poi annega il figlio nato dal loro amore e per questo salirà al patibolo. Anche il fratello verrà ucciso in duello da Mefistofele e Faust, non prima di aver espresso alla sorella la sua compassione.
Leda, nei panni di Margherita Ghetchen, avvolta di tulle bianco, è meravigliosa in tutta l’ultima parte, alle prese con un amore più grande di lei. Anche in queste scene è inevitabile vedere l’Urlo di Munch o l’Ophelia del pittore pre-raffaellita John Everett Millais, ma anche la Medea di Euripide. Nell’ultima parte Gretchen Margherita, dice di aver fatto tutto per amore e immagina che Faust alias Heinrich, vada nella sua cella, ma tutto sembra un sogno o un incubo, per poi chiudere con la battuta:
Heinrich non dire che con Gretchen ci sei stato”.
Tiezzi afferma che Margherita rappresenta la donna abusata da tutti. Conquistata con i tesori, senza un vero sentimento d’amore, che, nonostante tutto, salva Faust-Heinrich. Un inno al femminile e un testo per una nuova grande attrice teatrale, Leda Kreider, che riesce a riempire da sola gli spazi sul palco per un tempo lunghissimo e raccontare con una efficace presenza scenica anche i crolli nervosi, che ricordano le posture isteriche della Salpêtrière, della donna che si innamorò di Faust. L’eterno femminino che porta in alto l’altro mentre ascende al cielo.
Tutta l’opera è intrisa di un misto di sacro e profano, spiritualità e demonicità, che evocano nei momenti più salienti la matrice tutta umana del Bene e del Male.
Se a tutto questo uniamo la capacità di Tiezzi di aver creato coesione tra tutti i componenti del gruppo di lavoro che formano un tutt’uno, il suggestivo lavoro vocale che va dal gregoriano ai Lied romantici, la musica espressionista. Le musiche di Mahler a quelle di Penderecki, Badalamenti e poi la splendida Lacrimosa di Preiswer, si comprende come questa maestosa opera, sia già entrata nella storia del teatro.
– Paola Dei
Critico Teatrale ANCT e Critico Cinematografico SNCCI
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Photos & Video: Courtesy of Compagnia Lombardi Tiezzi.
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