Salvatore Giuliano, il film di Francesco Rosi
Il film inizia con l’annunciazione della morte di Salvatore Giuliano, già fuorilegge per aver ucciso un carabiniere, e che costituisce una banda ed entra a far parte dell’esercito separatista, sostenendo conflitti a fuoco con soldati e carabinieri. L’annunciazione dura circa venti minuti.
Segue una brillante ricostruzione dell’avventura del celebre bandito del dopoguerra italiano.
Subito dopo la liberazione della Sicilia, quando l’esercito viene sciolto, Giuliano rimane isolato con la sua banda ed è costretto a riprendere la sua attività di fuorilegge.
Meravigliose sono le riprese sul territorio siciliano dal punto di vista dei fuorilegge che guardano paesi città e strade dai binocoli, nascosti nella natura.
Il bianco e il nero delle riprese non infastidisce, anzi rende ancora più icastici gli avvenimenti.
Uno dei fatti più gravi tra questi è costituito dall’episodio di Portella della Ginestra, nel quale numerosi uomini, donne e bambini furono uccisi dalla banda. A questo punto viene decisa dalle autorità una guerra senza quartiere contro Giuliano. Uno dopo l’altro cedono i capisaldi della sua difesa e la mattina del 5 luglio 1950 il suo corpo inanimato viene ritrovato nel cortile di una casa di Castel Vetrano.
Il film è ricco dal punto di vista delle ambientazioni. Si attraversano paesi siciliani, dalle cui case escono le donne vestite di nero come fiumi in piena, le strade in mezzo alla natura selvaggia e scarna che probabilmente è ancora simile ad adesso, le aule di tribunale con il processo di Viterbo e il carcere.
Qui la storia non è conclusa. Gaspare Pisciotta viene avvelenato e altri mafiosi che hanno compiuto con lui i misfatti sono colpiti da mani misteriose.
Al massimo delle sue potenzialità artistiche, il regista napoletano mette a punto – insieme a Suso Cecchi d’Amico, Enzo Provenzale e Franco Solinas – una sceneggiatura dove il thriller, il documento e la ricostruzione si mescolano in maniera perfetta grazie ad un geniale gioco di flashback.
Il film da storico con tratti altamente drammatici, arriva al poliziesco e rimanda all’attualità. Eppure non scade mai nelle esagerazioni, pare che i fatti siano raccontati con l’esattezza del giornalismo. L’intreccio ed il personaggio son rimandati ad un ‘Processo alla città’ o a un ‘Racconti romani’ sempre di Rosi.
Dopo essere stato ignorato dalla commissione selezionatrice del Festival di Venezia, fu presentato in concorso al Festival di Berlino 1962 dove si aggiudicò l’Orso d’argento per il miglior regista. Il film dell’impegno politico di Rosi non ha goduto però del prestito pubblico e ha sofferto il mancato appoggio della famiglia Giuliano e della popolazione.
Nonostante queste problematiche nella realizzazione, resta un film affascinante che parla di quell’intreccio maledetto tra poteri centrali, banditismo e omertà che, unendosi alla delinquenza locale e alla povertà, ha favorito l’affermarsi del cancro mafioso.