Riflessi di Donna: Il Futurismo dalla misoginia all’esaltazione della figura femminile
Riflessi di Donna è una mostra organizzata da Bvlgari Boutique di Roma, in collaborazione con la Galleria Futurism&Co. Un’esposizione che celebra le mille sfaccettature dell’universo femminile attraverso opere di grandi maestri del Primo Novecento.
Dalle pitture vascolari dell’antica Grecia fino ai ritratti cubisti, la figura femminile è sempre stata presente come soggetto di opere d’arte, seppur con dei significati e con un’importanza variabili a seconda delle epoche. Durante l’800, con il Romanticismo, la storia dell’arte si emancipa da una gerarchia estremamente rigida dei generi artistici e la pittura narrativa, quella di “istoria”, come la intendeva Leon Battista Alberti, non è più il genere privilegiato; si da così maggiore spazio e dignità a generi prima considerati minori, come il paesaggio, e a opere attraverso le quali l’artista non si propone più di raccontare una storia, ma semplicemente di esprimere la propria interiorità, i propri sentimenti, che spesso si materializzano nell’immagine della donna amata.
Basterà pensare ai quadri dei Preraffaelliti, nei quali l’immagine femminile è praticamente onnipresente ed è l’immagine di una donna che non solo viene ritratta e contemplata in qualità di amata, ma alla quale viene spesso anche attribuito un significato enigmatico, misterioso, quasi iniziatico e mistico. Altri nomi che si potrebbero fare da questo punto di vista sono Ingres, con la sua Grande Odalisca, Olympia di Manet, o Goya con le sue due versioni della Maja.
Anche nei secoli che hanno preceduto il Romanticismo e il Realismo ottocenteschi tuttavia, la donna è rimasta spesso una protagonista nell’arte. I pittori del Quattrocento e del Cinquecento raramente hanno raffigurato donne a loro legate, o in generale donne comuni: nelle loro opere, oltre ai ritratti delle dame committenti, ammiriamo Madonne in trono, Maddalene, oppure Veneri, immagini di donne legate al significato, al ruolo che hanno nella storia sacra o mitologica, più che alla loro presenza come donne in sé (sarebbe in effetti stata una concezione decisamente troppo all’avanguardia per il XV-XVI secolo e, dunque, decisamente anacronistica). Tuttavia, nonostante questa subordinazione all’elemento narrativo, di storia sacra o mitologica, il Rinascimento ha comunque consegnato alla storia immagini di donne, sopravvissute al tempo come esempi celebri di bellezza femminile. Se ne potrebbero citare tantissime, ma basteranno la Venere del Botticelli, o anzi le numerosi Veneri di Tiziano, e come non citare quella che probabilmente è la donna più famosa del mondo dell’arte e non solo, la Gioconda di Leonardo.
È però importante sottolineare che nella storia dell’arte le donne sono state sia davanti che dietro la tela: così come ci sono state donne che hanno posato come modelli per molte delle opere precedentemente citate, sono esistite donne, pittrici, il cui posto era appunto al di qua del quadro. Ricordarlo è fondamentale, perché troppo spesso ci si dimentica che, oltre alle centinaia di artisti uomini che riempiono i manuali di storia dell’arte, sono esistite anche delle artiste, delle pittrici. Alcune di esse godevano già in vita di molta fama, come Artemisia Gentileschi, o Frida Kahlo, altre invece sono state messe in ombra dai loro colleghi di sesso maschile ed è stato compito recente della critica quello di riportare alla luce la loro memoria, come è accaduto e sta accadendo ultimamente per le pittrici futuriste. Il Futurismo è stato un movimento artistico che per molti aspetti ha caratterizzato una rottura con i tempi correnti, un movimento moderno, non a caso infatti la storia dell’arte lo inserisce nelle cosiddette “Avanguardie”; accanto agli aspetti innovativi e moderni però, se ne contavano altrettanti che oggi, forse meno di allora, appaiono senza dubbio retrogradi, come la programmatica misoginia che caratterizzò dal principio il movimento futurista.
Sin dal Manifesto del futurismo pubblicato nel 1909, si insiste su valori come la guerra, la velocità, da cui il genere femminile sembra essere escluso. Si si legge nelle prime pagine del Manifesto:
Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo – il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna”.
Naturalmente si tratta di affermazioni che suscitarono un certo clamore e che destarono anche numerose e violente critiche nei confronti di Marinetti e degli altri firmatari del Manifesto. Per rispondere ad esse lo stesso Marinetti, nella prefazione del suo libro Mafarka il futurista del 1910, tentò di giustificare e spiegare le precedenti affermazioni indicando di non voler discutere “del valore animale della donna, ma dell’importanza sentimentale che le si attribuisce”. Nonostante la misoginia che caratterizzava il movimento, va ricordato che sono esistite anche artiste che operarono nel segno del Futurismo, delle donne futuriste di cui, fatta eccezione per le più famose, per molto tempo si è persa traccia, e che ancora oggi non sono ricordate come dovrebbero, alle quali nel 2018 il Museo Archeologico di Nuoro ha dedicato una mostra intitolata L’elica e la luce. Le futuriste. 1912-1944. Furono donne, come Valentine de Saint-Point, Leandra Cominazzini Angelucci, o Alma Fidona, che per circa 30 anni, dagli anni Dieci agli anni Quaranta del 900, non solo parteciparono alle mostre, ma addirittura firmarono manifesti teorici propri. In risposta al Manifesto di Marinetti, infatti, Valentine de Saint-Point pubblicò a Parigi, il 25 marzo del 1912, il Manifesto della donna futurista.
Oltre alle donne futuriste, va ricordato che, nonostante quanto affermato nel Manifesto e da Marinetti, si possono trovare raffigurazioni di donne in molte opere di diversi artisti futuristi. In Riflessi di Donna alcune di esse sono raccolte in mostra dal 6 al 9 maggio 2022 presso lo storico negozio Bulgari in via dei Condotti, grazie alla collaborazione della Galleria Futurism&Co. Oltre a maestri futuristi come Giacomo Balla, Fortunato Depero ed Enrico Prampolini, la mostra, che si intitola Riflessi di Donna, accoglie anche opere di altri importanti artisti del 900, tra cui Joan Miró e Andrè Masson. Sono donne eleganti e sensuali, ma anche materne, orgogliose e sicure di sé. Alcuni critici del secolo scorso, come Arnold Hauser e Frederick Antal, esponenti della storia sociale dell’arte, costruivano le loro teoria intorno all’idea per cui l’arte di una determinata epoca fosse il riflesso delle condizioni economiche e delle relazioni sociali che caratterizzavano quel periodo. Sebbene questa sia soltanto una delle tante posizioni e teoria che caratterizzano la storia della critica d’arte e sia stata anche poi criticata da autori successivi, essa sembra descrivere adeguatamente la situazione che questa mostra vuole presentare, offrendo immagini di donne che non valgono più solamente per la loro bellezza, o perché rappresentano un personaggio sacro o mitologico, ma sono donne libere, nella forma e nello spazio, donne che pian piano si stanno emancipando, che guardano la futuro.
In Riflessi di Donna emerge la libertà e le mille sfaccettature con cui le donne sono rappresentate in queste opere sono il riflesso del maggiore grado di emancipazione e di libertà che esse stavano cominciando ad avere nella realtà, nei primi anni 20 del 900, periodo in cui si colloca tra l’altro anche il movimento delle “Suffraggette”. In Affetti di Giacomo Balla, del 1910, vediamo cosi la moglie del pittore, Elisa, mentre incoraggia la figlia più piccola, Luce, che entusiasta impara a leggere; da un lato quindi la donna come madre, punto di riferimento e prima sostenitrice soprattutto della sua figlia femmina, dall’altro una giovane donna che muove i suoi primi passi verso la cultura, quella cultura che a molte altre donne prima di lei era stata preclusa. L’elemento della madre è presente anche nell’opera di Miró, in cui si delinea il mistero del corpo femminile, che dona la vita e fa entrare a contatto con l’inconscio. Una mostra, dunque, che mette in luce, anche visivamente, come in Donna e ambiente di De Pistoris, le mille sfaccettature comprese nella parola “donna”, di cui troppo spesso ancora oggi ci si dimentica: una musa, un bel corpo da riportare sulla tela, ma anche una madre affettuosa, che dona e sostiene la vita, e soprattutto un cervello, una mente che può, vuole e deve poter apprendere e mettere in pratica. Tutte queste cose, tutte insieme; è bene ricordarlo, sempre.
Immagine in evidenza: De Pistoris, Donna e ambiente, particolare, 1922 ca, olio su tela