Olio di palma “sostenibile”: una soluzione di comodo?
Il 9 marzo 2017 il Parlamento Europeo si è espresso con una risoluzione sul rapporto della relatrice Kateřina Konečná alla Commissione Europea contenente una richiesta di regolamentazione dell’utilizzo dell’olio di palma per renderne sostenibile la produzione e limitarne fortemente l’impiego nel settore dei biocarburanti.
È veramente possibile rendere sostenibile la produzione dell’olio di palma? Sembra una questione al centro di un dibattito accesso, con diverse posizioni. Da una parte è indubbio che la produzione intensiva di questo prodotto abbia provocato ingenti danni alle foreste asiatiche, disboscate e rimpiazzate dalle piantagioni, portando così a erosioni del suolo, inquinamento atmosferico e perdita della biodiversità. Dall’altra la campagna di sensibilizzazione si è fortemente incentrata sui potenziali effetti nocivi sulla salute, inducendo i consumatori a trascurare altri importanti fattori legati all’uso di questo prodotto.
Ma partiamo dal principio: l’olio di palma è uno degli oli vegetali più usati, prodotto principalmente in Indonesia e in Malesia, e commercializzato in tutto il mondo per via del suo prezzo economico. La competitività dell’olio di palma sul mercato è da attribuirsi principalmente alla possibilità di trasportarlo in forma solida, abbattendo cosi notevolmente i costi rispetto a prodotti analoghi e spingendo quindi le industrie alimentari a preferirlo.
I successi della forte polemica ambientalista nei confronti dell’olio di palma, mistificata dalla questione alimentare, hanno fortemente sensibilizzato i consumatori spingendo aziende come Mulino Bianco, Plasmon, ecc. a evitare l’uso del suddetto prodotto. L’olio di palma ha in realtà degli effetti negativi sulla salute limitati rispetto per lo meno a quelli che potrebbero avere i suoi sostituti, come ad esempio la colza. Tali effetti sono inoltre dovuti principalmente al processo di trasformazione di nuovo in forma liquida del prodotto, che non deve essere scaldato eccessivamente, dipendono quindi in larga parte dal trattamento che subisce. Nonostante le preferenze dei consumatori abbiano quindi portato a risultati notevoli, non senza qualche eccezione, come la Ferrero, le vittorie nel settore alimentare non sono sufficienti a fermare l’intensiva coltivazione e le massicce importazioni. La ragione principale, che alcuni ignorano, è che quest’olio vegetale è particolarmente utilizzato per la produzione di biocarburanti, in particolare di biodiesel.
Kateřina Konečná ha dunque proposto al Parlamento Europeo di interrompere drasticamente l’uso di olio di palma per produrre biocarburanti. Tuttavia, la nozione di olio di palma sostenibile, di cui si discute nel rapporto, sembra essere controversa: considerando tutte le conseguenze nocive derivanti dalle coltivazioni intensive sembrerebbe necessario intendere per “sostenibile” un’effettiva sospensione del suo utilizzo. Di anno in anno infatti le aree destinate alla coltivazione di olio di palma sembrano aumentare, pertanto è senza dubbio necessario ridurre drasticamente il suo impiego, optando per alternative effettivamente sostenibili che tutelino le risorse ambientali. Questo è uno degli scopi della Rspo, ovvero Roundtable on Sustainable Palm Oil, che sebbene continui a sostenere l’importanza investita da questo prodotto, più conveniente rispetto ai suoi simili anche in termini di resa dei raccolti, si prefigge comunque di minimizzare l’impatto ambientale della produzione di olio di palma introducendo standard che rispettino parametri sia economici che sociali. La certificazione Rspo sembra dunque essere un buon compromesso, considerando che l’olio di palma garantisce una quota significativa dei consumi globali di oli vegetali, rimanendo quindi un importante fattore in molti processi produttivi.
di Arianna Nouri
In copertina: foto di Wrote con l’utilizzo della licenza CC BY 2.0