Ela: Sketches on a Departure di Oliver Adam Kusio
Ela: Sketches on a Departure, il corto del giovane regista tedesco Oliver Adam Kusio, è stato presentato alla Semaine de la Critique della 56esima edizione del Festival di Cannes.
Paese: Germania 2017
Genere: Cortometraggio
Durata: 26′
Regia: Oliver Adam Kusio
Interpreti: Karolina Romuk-Wodoracka, Bartosz Sak, Karolina Porcari, Mikolaj Trzbinski, Björn Heienbrock
Titolo originale: Ela: Szkice na Pożegnanie
Il film di Kusio è una piccola perla. La storia è quella di Ela (Karolina Romuk-Wodoracka), una donna che sogna una vita piena di significati e di bellezza, di qualcosa di più e che per questo, vuole intraprendere un viaggio a Ovest, abbandonando chi la ama e che farà di tutto per farle cambiare idea.
Probabilmente l’Occidente che la ragazza sogna è già tra le sue mani e davanti a i suoi occhi, ma Ela non si accontenta e vuole scendere dalla barca di legno con cui viaggia con il suo amore.
Il suo fidanzato ha un motorino che è parcheggiato dal meccanico. Questi lo prova e lo accende, parte ma non va da nessuna parte.
Il film ricorda la poetica dei fratelli Dardenne per le immagini e la fotografia, mentre è una citazione di Loach per quanto riguarda la continua ricerca dell’uomo dei propri diritti in un mondo migliore.
Allora ci si chiede. Dove risiede l’autorialità di un lavoro del genere?
Ebbene, nel lungo abbraccio della protagonista con il fratello sul divano. Per circa un paio di minuti non accade nulla e la telecamera è fissa, eppure lo sguardo non si allontana dallo schermo.
La scena è girata a mano, un po’ sporca quindi, ma naturale e la sintesi tra attori e spettatori è totale, armonica, semplice.
Si dice nel film che ‘una sorpresa è meglio’ di qualunque altra cosa il reale ci proponga, ma forse è proprio il momento in cui la sorpresa svanisce che nasce la tensione e la rottura tra i personaggi.
Il ragazzo di Ela le urla che le darà i soldi per il suo viaggio e che, non diversamente da lei, ha paura.
I campi e i controcampi sono serrati ma non forzati e si rincorrono, come i protagonisti nel campo sterrato e selvaggio vicino alle loro case.
Si parla anche della storia d’amore di due giovani di cui non si vedrà alcuna nudità. Il sesso manca, c’è però una scena su una giostra quasi infantile. Eppure c’è molta più passione che in altro film romantico.
La fotografia è sommessa e delicata. Le immagini sembrano quasi quelle che ci scattiamo sui social. I fotogrammi sembrano lavorati con i filtri di Instagram e ciò rende la percezione della storia, un po’ come quella di tutti. La familiarità del gioco visivo rende intimo e vivace il rapporto dello spettatore con la storia e non c’è lacrima che tenga. Non una risata.
L’umore resta uguale come le promesse della terra futura, forse.
Oliver Adam Kusio ha lavorato anche per il documentario e le sue opere sono ascrivibili a una filmografia tipica degli anni Duemila. Le immagini dei suoi film sono rarefatte, eppure hanno carattere e dicono qualcosa senza disturbare.
La sua prima esperienza lavorativa è stata come assistente di regia in un teatro di Francoforte, dove ha potuto assorbire tutta l’ispirazione di cui aveva bisogno per poter parlare, come in questo piccolo film, dell’Occidente e delle sue contraddizioni come da un palco, così che lo spettatore senta i protagonisti della storia vicini, dal vivo.
Con ciò, mette in crisi – probabilmente – anche lo stato dello spettacolo, eppure dice animatamente quanto sia importante confrontarsi con i propri colleghi e ciò lo dimostra nella citazione tenera che ha nelle sue carni sapori sottoposti all’azione dei fumi della immaginazione più sincera.
– Veronica Pacifico
Foto di copertina per gentile concessione del Festival di Cannes.
Video YouTube ufficiali del canale Semaine de la Critique del Festival di Cannes.