Cultura

Café Society di Woody Allen: l’America di lustrini e finzione

Siamo nella New York degli anni Trenta. A una festa con vestiti d’epoca si allude alla famiglia del Führer. Bobby Dorfman (Jesse Eisenberg) abbandona la East Coast per la California, dove lo zio gestisce un’agenzia artistica e, come conseguenza, ha a che fare con i capricci dei divi hollywoodiani. Seccato dall’irruzione del nipote nella sua vita e convinto dell’inettitudine di quest’ultimo, dopo aver a lungo rifiutato di incontrarlo, lo riceve e lo assume come fattorino. Bobby, perduto a Beverly Hills e con la testa ancora a New York, la sua città natale, s’innamora di Vonnie (Kristen Steward), segretaria e amante dello zio. Il ragazzo le propone di sposarlo e di trasferirsi a New York, ma Vonnie preferisce a lui suo zio.  Rientrato nella sua città, Bobby dirige con savoir faire il “Café Society“, night club sofisticato che diventa il punto di incontro del mondo che conta. Sposato, padre e uomo di successo, anni dopo riceve a sorpresa la visita di Vonnie, con cui avrà un rapporto extramatrimoniale.

Il film, considerato dalla maggior parte dei critici, una commedia, si avvicina, a nostro giudizio, al gangster movie. Ci sono tutti gli elementi: il protagonista abbandona le sue umili origini per entrare a far parte della malavita, anche se, come copertura, gestisce un caffè per persone famose. Raggiunto il successo e dopo aver creato una sua famiglia con una donna affascinante come Blake Lively, crolla per la sua fragilità emotiva e resta un personaggio sognatore, ma in qualche modo, sconfitto.

Un sogno in technicolor, Café Society, in cui si muovono personaggi che sembra che non si prendano mai sul serio, anche se studiati al dettaglio nella sceneggiatura di Allen.

Accordi e disaccordi, Ombre e nebbia, Zelig e Radio Days sono i film di Allen ambientati negli anni Trenta; il regista sembra rappresentare bene quel periodo storico, che ambienta bene nella città di New York.

I dialoghi sono mondani e pretestuosi.

“Quello è impegnato a cena con Fred Astaire e Gary Cooper”, si dice di un personaggio, quasi a darne un’istantanea di un contesto di intoccabili.

E ancora.

“Non voglio i soldi se vengono da cose losche” dice la madre del protagonista. E quello: “Viene da vendita di night club. ti va bene?” E la madre risponde stancamente: “Se è alla luce del sole”

Un dialogo che ha un modo tutto curioso di emanare un certo nichilismo, insieme all’espressione  puttana ebrea da record, buttata là dal proprietario di un night.

La vita si regge su dilemmi sciocchi tipo quale donna scegliere? E il motto “Vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo, e un giorno ci azzeccherai” è la frase forse più profonda di tutto il film.

Foto accanto a persone famose, case eccezionali, feste, discorsi banali sulla religione sono i passatempi  degli avventori del “Café Society”, termine coniato intorno al 1915 per indicare questo fermento che coinvolse tutta Manhattan, considerata luogo di teatri, caffè, ristoranti in cui persone eccentriche si muovevano in una condizione atemporale.

Vonnie dice di essere una di quelle donne che vogliono diventare attrici e che capiscono solo crescendo quanto sia bella una vita simile lontana dai teatri. Rinuncia al palcoscenico e, forse, per questo, l’unica con gli occhi trasognati, ma proprio per questo attrice in una vita esagerata.

Che dire, sembrerebbe un personaggio perfetto per una ‘commediola’ sentimentale spicciola,  invece spicca per la sua aurea.

A proposito di “brillare di  luce propria”, c’è da dire che con questo film inizia la collaborazione di Woody Allen con Vittorio Storaro. Quest’ultimo farà propria la luce del Bronx, di Hollywood e di Los Angeles, arricchendo notevolmente il film.

Diciamo che si fa luce sulle nevrosi, sui dubbi e sulle contraddizioni di Woody Allen attraverso i protagonisti, come in tutti i suoi film. E la voce fuori campo di un onnisciente osservatore (nella versione originale il regista), evidenzia probabilmente quanto l’autore ci tenga alla società di appartenenza, che siano gli Stati Uniti degli Anni Trenta, in cui si muove a passi di swing, o quelli di oggi.

– Veronica Pacifico

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Foto copertina ©Lions Gate Entertainment Inc.

Leila Tavi

Leila Tavi is a journalist specialized in Russian Politics and Culture and PhD c. in Russian History at the University of Vienna under the supervision of Prof. Andreas Kappeler. She studied Political Science in Vienna and Rome, graduating in History of Eastern Europe at Roma Tre University, with Prof. Francesco Guida and a thesis on travel reports about Saint Petersburg by West Europeans at the beginning of the XIX Century. Previously she obtained a degree in Foreign Languages, with a specialization in German Philology at the University of Rome «La Sapienza». Her new book "East of the Danube" is coming soon.