Balla e Bulgari: un binomio insolito ma perfetto per celebrare il Natale di Roma
A pochi giorni dalla riapertura di musei e gallerie a Roma, Bulgari ha dato la possibilità di tornare a ricordarsi cosa significa trovarsi davanti a un’opera d’arte.
Lo scorso 21 aprile, in occasione del Natale di Roma, nella storica boutique del noto marchio di gioielli in via dei Condotti 10, si è tenuta una breve esposizione organizzata in collaborazione la galleria Futurism&Co.
All’interno dello store di Bulgari è stato possibile ammirare alcune opere del celebre pittore futurista Giacomo Balla, del quale il 18 luglio di quest’anno ricorrerà l’anniversario dei 150 anni dalla nascita. Pochi pezzi, ma estremamente adatti a delineare un itinerario che, seppur breve, riesce a dare una panoramica generale del percorso umano e artistico del pittore, a suo modo complesso.
La vita di Giacomo Balla
Giacomo Balla nasce a Torino, il 18 luglio 1871, ma presto, nel 1895, si trasferisce a Roma, ed è per questo che può essere considerato a tutti gli effetti un pittore romano. Dopo essere stato ospite al Quirinale presso lo zio, cacciatore del Re, e da alcuni amici, va ad abitare insieme alla mamma Lucia, alla moglie Elisa ed alla primogenita Luce, che nasce nel dicembre del 1905, in una casa-convento tra via Nicolò Porpora e via Paisiello, nel quartiere Parioli, che si affaccia proprio su Villa Borghese, dal 1902 proprietà del Comune di Roma e aperta al pubblico. Balla ha un rapporto molto intenso con questo luogo, lo frequenta assiduamente, affascinato dalla sua luce e dai suoi colori, lo studia meticolosamente e lo rappresenta in moltissime opere, alcune appunto presenti alla mostra.
Anche quando infatti, nel 1929, si trasferirà al civico 39 di via Oslavia (dove la sua casa-studio, in modo progressivo trasformata in museo, sarà aperta con visite guidate a partire dal prossimo 26 maggio, grazie a un progetto curato dal MAXXI), non si allontanerà molto da Villa Borghese, ma continuerà ad averla come punto di riferimento anche per i suoi studi successivi.
L’attività di Balla inizia nel segno dello stile divisionista, con una produzione molto intensa che si concentra intorno ai primi dieci anni del 1900. Nel frattempo però, Balla comincia a entrare in contatto con quelle che insieme a lui diventeranno figure cardine del movimento futurista, come Umberto Boccioni, Gino Severini e Mario Sironi; è così che aderisce con sempre più convinzione al Futurismo, interessandosi sempre più al movimento, al dinamismo, firmando proprio nel 1910 il “Manifesto tecnico della pittura futurista”, e pubblicando nel 1918 il “Manifesto del colore”, in cui, forse anche reduce dalla sua esperienza divisionista, analizza il ruolo del colore nella pittura d’avanguardia.
In particolare a partire dal 1916, dopo la morte di Umberto Boccioni, diventa una delle figure più attive del movimento d’avanguardia, iniziando addirittura a firmare le sue opere come FuturBalla. Tuttavia nel 1937, in una lettera al giornale Perseo, si dirà ormai lontano dal movimento futurista; questa lettera avrà un ruolo determinante, fungendo quasi da pretesto per quella sorta di “abbandono” da parte della cultura ufficiale delle opere e della figura del pittore, che troveranno invece una nuova vita nel dopoguerra.
Bulgari & Balla
Tornando alla mostra in oggetto, l’evento stabilisce un collegamento a doppio filo tra Roma, Giacomo Balla e il marchio Bulgari. Il legame tra Roma e Balla è chiaro: si è voluto celebrare il Natale di Roma attraverso le opere di un artista futurista romano, o che potesse comunque essere definito tale e collegato alla Città Eterna, e chi meglio di Giacomo Balla, che nella capitale trascorse praticamente tutta la sua vita, e di cui, torniamo a ricordare, a
luglio ricorrerà anche l’anniversario della nascita.
Il rapporto tra il pittore e il marchio di gioielli, invece, può sembrare più oscuro, più difficile da comprendere, si potrebbe dire quasi un “volo pindarico”. Ebbene, in realtà non c’è nessun volo, nessuna associazione troppo pretenziosa, anzi: le due famiglie, Balla e Bulgari, quasi per un curioso gioco del fato, sono destinate a intrecciarsi, a incontrarsi. Quando Giacomo Balla si trasferisce a Roma nel gennaio 1895, un personaggio di spicco e degno di nota che si trova in quegli stessi anni nella capitale, dove si era trasferito solo dieci anni prima, è Sotirio Bulgari. Sotirio è un argentiere originario dell’Epiro, che negli anni 80 del XIX secolo lascia la sua terra per cercare fortuna in Italia, prima a Napoli nel 1881, e poi a Roma tre anni dopo, dove aprirà due boutique, in via Sistina e in via Condotti 28, prima di trasferirsi nella storica sede di via Condotti 10, dove appunto è stata allestita la mostra. Nel 1961 poi, tre anni dopo la morte del pittore, c’è un altro punto di contatto tra le due famiglie, stavolta molto più ravvicinato: Elica Bella, secondogenita di Giacomo e sua volta pittrice, esegue un ritratto di Costantino Bulgari, figlio di Sotirio e colui che, insieme al fratello Giorgio, porterà la gioielleria Bulgari ad avere un enorme successo, a partire proprio dagli anni Sessanta del 1900.
Dittico di Villa Borghese
Il percorso della mostra inizia con l’opera Dittico di Villa Borghese: i tronchi; viale dei Sarcofaghi, realizzato con pastelli colorati su carta nel 1905, quando Balla è arrivato da poco a Roma e si trova nella sua casa-studio. Tra tutte le opere presenti in esposizione, questa è l’unica a essere datata agli anni divisionisti di Balla, prima della sua adesione al movimento futurista, e infatti è l’opera che più di tutte appare lontana dall’esaltazione della modernità, del dinamismo, del movimento, dai molteplici punti di vista, insomma da quelle che si riconoscono essere le caratteristiche fondanti del movimento d’avanguardia.
Si tratta infatti di un’opera nel suo complesso molto semplice, piana, nella quale l’artista rifugge dalle scomposizioni articolate e dinamiche che lo caratterizzeranno negli anni futuri: in questo dittico vuole solo studiare la natura, rappresentarla nel suo silenzio, nella sua immobilità, che è però sempre ravvivata da preziosi giochi di luce e ombra, e lo fa nel modo più semplice possibile. Entrambe le opere che compongono il dittico hanno un taglio fotografico, ma le composizioni non sono complesse; mentre nella seconda si vede solo un paesaggio naturale che non si riesce a contestualizzare, nella prima è possibile inquadrare il paesaggio, grazie ai pochi, ma efficaci, dettagli presenti, ovvero il sarcofago, che si riconosce essere il secondo della strada omonima, all’interno di Parco dei Daini, e dietro di esso le torri del Museo Borghese.
Ciò che contraddistingue maggiormente questo dittico, ciò su cui Balla si concentra e sui cui guida lo sguardo e l’attenzione dell’osservatore, sono innanzitutto i giochi di luce e ombra: il pittore si trova sempre in una zona d’ombra, attorniato da alberi, dalla quale rappresenta una zona di luce davanti a lui, con trapassi cromatici e chiaroscurali precisi, ma non eccessivamente rigidi. Un’altra caratteristica pregnante del dittico, che forse più di tutte lo colloca nell’ambito della produzione divisionista dell’artista, è la scelta, ma soprattutto l’uso dei colori nella resa dell’erba. Il pastello viene quasi “strisciato” sul cartoncino, creando dei veri e propri filamenti cromatici separati, ma che, se vengono osservati da lontano, nell’insieme, restituiscono l’idea complessiva di un prato autunnale colpito dalla luce, che genera diversi riflessi. In alcuni punti, nell’erba, Balla arriva addirittura a incidere, a graffiare il supporto cartaceo, cosa che fa anche per firmare entrambe le opere, in basso a sinistra: è come se volesse togliere quell’eccesso di materia pittorica, di pastello, per far emergere maggiormente la luminosità della composizione.
Questo dittico, insieme ad altri due, fa parte di una sorta di serie, dal gusto quasi cinematografico, che Balla realizza in questo periodo, avendo sempre come cornice Villa Borghese, luogo che egli cerca di vivere in ogni momento del giorno, lavorando per cicli, per serie pittoriche, per studiare come luci ed ombre cambiano momento dopo momento, in una maniera che riconducibile quasi all’Impressionismo e agli studi di Monet sulla cattedrale di Rouen. Balla successivamente si interesserà di più al movimento, al dinamismo, ed entrerà cosi pienamente nei modi del Futurismo, ma parte tutto da qui, da questi cicli.
Velocità astratta n. 2
Sono proprio il dinamismo e il movimento a essere protagonisti di Velocità astratta n. 2 del 1914, di nuovo pastelli su cartoncino. Si tratta di un’opera per la quale Balla parte da un dato oggettivo che vede e che fa suo, seguendo un procedimento che usa sempre, e che lo rende un artista molto meno astratto di quanto si possa comunemente credere. In questo caso Balla rimane colpito da un’automobile che percorre ad alta velocità via Nazionale, di cui esegue anche uno schizzo in uno dei taccuini che portava sempre con sé. Nell’opera però l’automobile non si vede, non è presente, è passata, e tutto quello che rimane e che si vede rappresentato è la velocità, una sensazione di velocità che, pur essendo astratta, è contestualizzata all’interno del paesaggio. C’è quindi la linea di velocità, che è una sorta di molla, di linea spezzata curva, all’interno di un paesaggio di colline verdi, con il cielo che in qualche modo unifica la composizione. Al di là dell’entusiasmo per la velocità e per il movimento, che è una delle caratteristiche fondanti del Futurismo e accomuna tutti gli artisti che a esso aderiscono, l’opera è interessante perché Balla, da sperimentalista quale è, cerca di mettere su carta la stessa struttura “fisica” del movimento, quasi il suo scheletro, considerandolo quindi non come un concetto puramente astratto, ma come un qualcosa che possiede un contenuto, una componente fisica, quasi tangibile e quindi rappresentabile: Balla non è mai del tutto astratto, ma sempre ancorato al mondo fisico.
Espansione di Primavera
La mostra si chiude con Espansione di Primavera, un olio su tela del 1918. Opera più importante di tutta l’esposizione, fa parte di un ciclo che rappresenta le Stagioni, ma che comprende solo la Primavera, l’Estate e l’Autunno, non l’Inverno, stagione a cui il pittore non era affine. Ed è lo stesso Balla a descrivere e spiegare il quadro, che rappresenterebbe dunque delle linfe vegetali, in verde, che salgono, morbide, e si espandono, collegando la terra con il cielo, rappresentato dalle fasce blu. L’opera, di cui fa parte anche la cornice originale, che riprende la morbidezza e la sinuosità delle linfe, vuole quindi richiamare la natura che in primavera si risveglia, torna alla purezza e alla vita originarie. A questo risveglio della natura corrisponde per il pittore il risveglio dell’animo umano, dello spirito degli uomini che, dopo la rigidezza dell’inverno (che pure, come si è detto, il pittore non rappresenta), è rinvigorito, rinato, più forte e finalmente pronto. Quello stesso spirito umano che l’arte sa nutrire nel profondo, quello “smisurato desiderio dell’infinito e del vago che chiamano anima”, come lo definiva Flaubert, che l’arte sa assecondare, e che questa mostra, proprio come succede in Espansione di Primavera, ha risvegliato dal torpore in cui questa situazione di pandemia lo aveva confinato.
di Ludovica Fracassi
Immagine in evidenza: G. Balla, Colpo di fucile domenicale, 1918
Per le immagini della boutique Bulgari ringraziamo la galleria Futurism&Co – © Luca Mariani