Analogie: quando l’arte supera i confini
Analogie è una mostra organizzata dalla Futurism&Co Art Gallery Rome che ci fa riflettere sulle analogie tra i futuristi e i maestri delle altre avanguardie europee.
La storia dell’arte è una di quelle discipline il cui insegnamento, a partire dalle poche ore alle scuole medie fino ad arrivare all’istruzione universitaria, risulta da sempre essere costituito da “compartimenti stagni”.
Siamo abituati a pensare e a studiare la storia dell’arte dicendo, ad esempio, che il Manierismo è stato il movimento artistico che caratterizzò il Cinquecento italiano, che Monet era un pittore impressionista, oppure che la data di nascita del Cubismo è il 1907, anno in cui Picasso dipinse Les Demoiselles d’Avignon. Siamo come abituati, insomma, a collocare ogni informazione in un preciso cassetto, un artista all’interno di un movimento, un movimento entro una precisa e determinata epoca storica, quasi sempre ignorando le relazioni che possono intercorrere tra artisti, movimenti ed epoche.
La realtà tuttavia, come è facilmente immaginabile, era ed è ancora molto più complessa e, per questo, a partire sopratutto dagli ultimi decenni, gli studi storico-artistici hanno cercato di problematizzare maggiormente schemi troppo rigidi e ormai avvertiti come obsoleti, evidenziando così i contatti e le influenze tra artisti diversi, e diversi movimenti.
Se questo è vero in generale per le tendenze artistiche di tutte le epoche, assume particolare rilevanza e veridicità se si prende in esame il contesto dell’Europa della prima metà del Novecento, quella in cui presero piede le cosiddette “Avanguardie storiche”. Le grandi trasformazioni economiche e sociali, le due guerre mondiali, le scoperte scientifiche e tecniche rivoluzionarono lo stile di vita e l’immaginario dell’uomo del Novecento, che cominciava ad avvertire con sempre maggior consapevolezza la relatività del mondo che aveva fino a quel momento conosciuto. L’arte aveva poi perso alcune caratteristiche che l’avevano distinta precedentemente, come l’intento educativo e la necessità di celebrare la storia, arrivando a occupare un ambito del sapere totalmente autonomo e proponendosi come forma di espressione libera, radicale, in grado di gettare i ponti verso il futuro. Furono queste le caratteristiche che accomunarono i molti movimenti artistici susseguitisi in questo periodo, le cosiddette Avanguardie appunto, dall’Espressionismo, al Cubismo, al Futurismo, per continuare con il Dadaismo, fino alle ricerche astratte, alla Metafisica e al Surrealismo.
Tutti questi movimenti, che pure la critica spesso tende a porre in concorrenza tra di loro, condividevano la volontà di dare una forma coerente e sensata al mondo e alla storia, la necessità di negare la realtà come unico punto di riferimento, come era stato per l’arte ottocentesca, nonché il contesto storico e culturale, pervaso da un clima di incertezza, di lacerazione, di crisi: gli incontri, i confronti, gli scambi erano quindi inevitabili.
L’incontro-scontro, o meglio il dialogo tra le varie avanguardie artistiche del Novecento è il fil rouge alla base della mostra Analogie. I Futuristi e le avanguardie europee, organizzata dalla galleria Futurism&Co, in via Mario de’ Fiori a Roma e visitabile dal 27 ottobre fino alla metà di febbraio. Ovviamente, come si evince dal nome della galleria, il focus principale, gli interlocutori fissi sono artisti ascrivibili al movimento futurista, le cui opere vengono messe in relazione con quelle di artisti aderenti ad altre avanguardie, e ne vengono sottolineate appunto le analogie, siano esse relative alla forma, al soggetto, al colore o alla tecnica utilizzata, ma anche le differenze naturalmente presenti.
La mostra parte da un intuizione: mettere in relazione il movimento futurista con le avanguardie internazionali per sottolineare un fatto: all’inizio del 900 le idee circolano, le avanguardie si intersecano, si mescolano, e il Futurismo è forse l’avanguardia che più di tutte riesce a oltrepassare i limiti, benché, grazie a Severini, avesse a sua volta attinto al Cubismo. Ma il Futurismo fa qualcosa in più: la genialità di Marinetti sta nel no costituire un movimento legato ad uno stile, ma legato al tempo. Visto che il tempo non ha un limite, il movimento, dal momento in cui nasce, si pone al di fuori di quel limite, semplicemente come ‘estetica dell’innovazione’ e l’innovazione non ha confini se non la nostra stessa esistenza”.
Sono le parole di benvenuto di Andrea Baffoni, curatore della mostra, che spiega come appunto il Futurismo, per le sue caratteristiche intrinseche di movimento predisposto al superamento di ogni barriera e persino di se stesso, riesca a fare qualcosa di diverso rispetto agli altri movimenti: raccogliere l’intuizione della modernità, e diffonderla mettendosi in relazione con le altre avanguardie.
Il grande merito della mostra tuttavia è un altro: non solo indagare le analogie tra il Futurismo e le avanguardie europee dal punto di vista storico artistico, ma andare a ricercare le ragioni prime, le condizioni di possibilità di queste analogie e ricercarle lì dove ogni nostra percezione viene ricevuta, messa in correlazione con altre e trasformata in concetto, ovvero nel nostro cervello.
Un contributo molto interessante alla mostra è infatti dato dal dott. Roberto
Brunelli, Professore Associato alla Università Sapienza Direttore Unità Operativa Complessa di Ostetricia Policlinico Umberto I di Roma, il quale ha parlato di quella che ha appunto definito “neuroestetica delle analogie”.
Per comprendere ciò, è necessario partire dall’esistenza di alcuni concetti di
neurobiologia della visione, fondamentali ma di certo non particolarmente facili da spiegare, come, ad esempio, il fatto che le cellule della corteccia visiva primaria scompongono lo stimolo visivo in linee rette con una certa orientazione (un po’ come le teorie di Mondrian e Malevic, per cui la linea
retta era la forma universale che sottostava a quelle più complesse), oppure che la stessa corteccia primaria deputa ad aree addizionali l’analisi di altri segnali visivi, da cui si origina la percezione di altre caratteristiche della scena visiva, come il colore, creazione specifica del cervello.
Questi e altri concetti permettono di interpretare le analogie colte nelle opere dal punto di vista scientifico, come dei risultati di operazioni che avvengono a livello celebrale. E proprio in quanto scientifico, il punto di vista adottato è anche e soprattutto oggettivo. Brunelli afferma:
L’analogia formale ha un’attività celebrale uguale per tutti, funziona per tutti allo stesso modo”.
Sottolineare questo contributo medico e scientifico è molto importante ed è lo stesso dottor Brunelli a spiegarci il perché:
Conoscere ciò che avviene nel cervello quando guardiamo un’opera d’arte non ne riduce il fascino, ma anzi amplifica l’esperienza estetica; soffermarsi sul fatto che le arti visive sono espressione del nostro cervello e obbediscono alle sue leggi nelle varie fasi dell’ideazione, esecuzione e valutazione non può che aumentare l’empatia tra l’autore e lo spettatore e generare un maggiore stupore ed emozione quando osserviamo sublimi analogie”.
Arriviamo ora, finalmente, a esemplificare con immagini ciò che si è fin qui detto a parole, analizzando due coppie di opere presenti in esposizione alla mostra, che hanno come comun denominatore due elementi citati precedentemente in relazione ai concetti neurobiologici, la linea e il colore.
La prima coppia della mostra Analogie che vogliamo analizzare è formata dalle opere Studio di ballerini per il bal tic tac di Giacomo Balla, datata 1921, e Standing nude female figure di Picasso. Il Futurismo dialoga in questo caso con il Cubismo, benché l’opera di Picasso sia datata 1946, un momento quindi in cui Picasso ha terminato le ricerche cubiste, gravitando verso altro, ma comunque siamo in grado di ricondurre a questa avanguardia i presupposti teorici e formali dell’opera. In entrambe le opere la protagonista è la linea, e tutte e due sono caratterizzate dalla bicromia, da due colori distinti utilizzati in Balla per sottolineare due differenti figure di ballerini, in Picasso la simmetria del corpo femminile nudo.
Ci sono però delle differenze nei diversi modi in cui la linea viene declinata,
utilizzata, concepita. Picasso riflette e utilizza una linea spigolosa, concentrandosi solo sulla caratteristica formale, strutturale di essa, e ignorando il volume.
Nell’opera di Balla invece la linea è morbida, fluida, dinamica, e anche nei pochi, ma pur presenti, passaggi duri e spigolosi, è immediatamente addolcita da successivi tratti sinuosi e ampi. Se l’opera di Picasso comunica staticità, l’intento di quella di Balla è proprio suggerire l’opposto, ovvero il movimento dei due ballerini danzanti. Siamo quindi davanti a due casi in cui lo stesso elemento, la linea, crea un’analogia a livello formale tra le due opere, visibile e condivisibile da tutti, ma allo stesso tempo, grazie ai diversi procedimenti con i quali viene usata, riesce anche a suggerire due concetti
opposti, la staticità e il movimento.
La seconda e ultima coppia di opere è caratterizzata da un’analogia incentrata sul colore. In questo caso il Futurismo non può più dialogare con il Cubismo, perché il colore fu un elemento piuttosto estraneo a quest’avanguardia, cominciando a essere considerato come elemento primario, ed esplorato nelle sue potenzialità espressive, solo con il cosiddetto “Cubismo orfico”, ovvero con quel gruppo di artisti che presero il nome di “Section d’Or”, i quali, guidati da Robert Delaunay, miravano a costruire quadri fondati su rigorosi rapporti geometrici, considerando anche però la vitalità del colore, componente che Picasso e Braque avevano invece volutamente sempre lasciato fuori.
Il Futurismo invece seppe unire formalismo e cromatismo, anche perché per gli artisti futuristi il colore era un’eredità assunta dal movimento del Simbolismo. In questo caso dunque vediamo confrontate un’opera futurista,
Studio di compenetrazione iridescente (per soffitto tondo) di Balla, del 1912, e una ascrivibile alla corrente dell’Astrattismo e datata 1932, Mittengrun (Green in the Middle) di Wassily Kandinsky. Entrambe le opere, innanzitutto, sono realizzate ad acquarello su carta ed anche dal punto di vista dei colori utilizzati riusciamo subito a individuare una somiglianza, con una predominanza del rosso e del blu/verde in tutte e due. Molti artisti futuristi, interessati all’analisi scientifica della luce e al mistero dell’energia, cercarono di riprodurre nelle proprie opere le teorie ottiche della scomposizione della luminosa. È quello che vediamo nell’opera di Balla, che utilizza la rappresentazione della scomposizione della luce per evocare nello spettatore un senso di ritmo, di struttura.
Il processo che sta alla base del quadro di Kandinsky è pressoché analogo e l’unica differenza possiamo riscontrarla nel fatto che al ritmo e alla forma l’artista russo arriva a partire non più solo dalle teorie ottiche, ma anche e soprattutto da quelle musicali: per Kandinsky il riferimento alla musica è fondamentale, in quanto egli credeva che i suoni riuscissero a suscitare visioni interiori di colori e forme, e che tra la musica e la pittura ci fosse una vera e propria analogia, e su questa analogia basò la maggior parte della sua produzione pittorica dopo l’approdo all’Astrattismo, a partire dai titoli che dava ai dipinti (Impressioni, Improvvisazioni, Composizioni), desunti proprio dal linguaggio musicale.
Ricercando le analogie tra queste due opere dunque, non possiamo che notare come entrambe utilizzino il colore, la scomposizione cromatica e l’analisi del fascio luminoso per avviare il processo astrattivo della forma, ma proprio in questo processo si trova una differenza: se con Kandinsky possiamo a ragione affermare di trovarci davanti a un’opera astratta, perché gli elementi dell’opera, astratti appunto sono resi protagonisti, Balla resta maggiormente ancorato all’oggetto, alla sua materialità, alla figurazione piuttosto che alla
completa astrazione.
Questi sono solo due esempi, ma la mostra ne offre moltissimi altri che
permettono all’osservatore di verificare quanto l’arte futurista si stata in grado di dialogare con movimenti lontani nello spazio e spesso anche nel tempo. E forse, il merito più grande di questa mostra sta proprio in questo, nel portare alla luce quello che è il vero ruolo, la caratteristica principale dell’arte, non solo di quella futurista, ma dell’arte in genere: l’arte trascende i confini, supera ogni barriera geografica e cronologica e arriva a tutti, come un linguaggio universale, che ha poi diverse declinazioni a seconda di chi lo recepisce.
La mostra Analogie. I futuristi e le avanguardie europee si basa proprio su questo equilibrio tra universale e particolare, tra somiglianza e differenza, sull’idea di un’analogia che accomuna due opere, ma che viene poi specificata e declinata in diversi modi: una bella ventata d’aria fresca e innovativa nel panorama delle mostre romane.
Immagine in evidenza: Giacomo Balla (1871-1958), Plasticità Spaziale, 1918 – tempera su carta
Foto: Courtesy of Futurism&Co