The Jumpers: la tragedia si insinua in una normalità apparente
The Jumpers è andato in scena al Teatro Abarico, riproponendo al pubblico italiano la complessa problematica della detenzione delle armi negli Stati Uniti.
“Quello che vedi è quello che c’è. Quello che non vedi, non esiste. E quindi va tutto bene”.
Una piccola località del Michigan, dove sembra regnare una serenità assoluta, quasi noiosa, è il luogo dove tutto ha inizio: una quotidianità rassicurante nasconde in realtà fastidiose verità capaci di dar vita a una normalità malata maturando, in Adrien, un odio profondo e insanabile, che trova sfogo in un’”inspiegabile” tragedia.
Dopo aver sparato al padre alcolizzato, il disperato ragazzo fa il suo ingresso “trionfante” a scuola e mette in atto il suo fatidico giorno del giudizio causando, con cinico distacco, 43 morti e 23 feriti.
Colpisce tra la folla i passanti e uccide in classe alcuni tra i suoi amici, incapace di sanare ferite antiche che non ha mai saputo curare, solo, in quel “villaggio” apparentemente innocuo, ma deleterio per chi in fondo, conserva ancora il sogno intaccato di dolcezza e amore.
La comunità di Adrian, bigotta e ottusa, vive di pettegolezzi, di odi e di rancori mai sopiti, di faide tra famiglie che covano da anni senza prendere fuoco o consistenza; gli abitanti di quella “ridente” località si nutrono di ipocrisia mascherando rabbia, situazioni familiari critiche, inquietudini, con sorrisi di circostanza o parole falso-cortesi.
The Jumpers traccia il ritratto di un’America malata nella sua cecità: tra le pieghe di consumate abitudini si insinua, strisciante, l’insofferenza per una vita senza slanci, umanità e verità.
Non è possibile evolversi in un mondo in cui tutto sembra predestinato a ripetersi all’infinito e in un martedì come tanti, Adrian sceglie di fare il “salto; anzi, “decide che a fare il salto saranno in tanti.
L’atmosfera dello spettacolo, egregiamente diretto da Camilla Cuparo, è piena di suspance, non lascia respiro o vie d’uscita e Andrea Preti, perfetto nel ruolo di Adrian, è capace di creare uno stato di tensione continua, alimentato da una ricostruzione della vicenda realistica e ansiogena.
L’alchimia tra gli attori è davvero notevole e capace di generare un interesse vivo e una sorta di reale empatia nei confronti della situazione.
Su un palco vestito di una scenografia essenziale i protagonisti, inizialmente si presentano con le loro fragilità e i loro intimi desideri e paure: c’è l’aspirante ballerina”, la devota a Dio, la ragazza snob, intelligente e aristocratica, Rachel, la fidanzata di Adrian e tanti altri.
Progressivamente, i monologhi diventano scambi comunicativi sempre più fitti.
Nel vivo della tragedia, i dialoghi tra gli attori risultano a tratti serrati e senza pausa, più spesso il palco dell’Abarico risuona di silenzi pieni di rabbia e di disperazione.
La tematica è terribilmente attuale, la resa scenica è coinvolgente e intensa e gli attori riescono a catapultare lo spettatore in una dimensione altra, non lontana, purtroppo, da una drammatica realtà.
– Sarah Mataloni
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Illustrazione di copertina ‘Gun’ di Daniella Urdinlaiz www.lookcatalog.com, usata con la licenza CC BY 2.0