Piovono mucche di Luca Vendruscolo
‘Vi aspetto a tutti nello Zaire per costruire con tutti la mondialità.” dice il capo del centro per disabili ”Ismaele” prima di abbandonare la stessa nelle mani di giovani scelti a caso tra gli obiettori di coscienza. Tra questi c’è Matteo, che come altri, si ritroverà catapultato in un mondo senza tempo, dove le regole si decidono attraverso un quotidiano vissuto pelle a pelle.
”Come ti sei sentito quando ti hanno detto che saresti rimasto paralizzato dal collo in giù?” Ed il disabile risponde ”Normale.” E poi si apre una diatriba tra i due in cui l’uno dice all’altro che senza dell’altro è esclusa qualsiasi possibilità di una vita vera.
I campi e i controcampi sono intervallati da riprese dell’ambiente, come se nessuno debba dimenticare il carattere ed il mondo interiore di ciascun ospite del centro.
”Voi siete le mie gambe e le mie braccia, la testa sono io. Ricordalo.” Dice ancora questi a Matteo che entra in crisi perché sente di non aver nessuna scelta, e per un attimo scappa, ma poi ritorna come se facesse parte di un unico corpo.
La comunità siam tutti noi è il senso dell’azione di Matteo e degli altri obiettori, che alla fine del film, saranno cacciati ed inviati in campagna a pulire fienili e pollai.
Il ritmo del montaggio è serratissimo, quasi ossessivo. I primissimi piani e i dettagli dei ragazzi ritagliano un mondo vivace pieno di aspirazioni, sentimenti e ricordi di chi un giorno era abile e racconta se stesso in tutta tranquillità.
Non c’è monotonia e non per i toni ironici, ma perché i personaggi hanno profili psicologici alquanto ben delineati e lo spettatore si affeziona a ciascuno di loro.
La disabilità è il nostro limite a non poter prendere parte a quel carnevale così caotico e sensuale. All’interno del centro si consumano rapporti sessuali tra un obiettore e una ragazza vestita di rosso che pare godere e quasi ci si dimentica della questione morale.
E’ giusto o meno portare dalle prostitute gli uomini per ricevere i loro servigi?
Domande queste sempre attuali ma che forse nel 1996, anno della vittoria del Premio Solinas, erano sentite da pochi.
La morte di Franco scuoterà tutti durante un pranzo sul lungomare, proprio dove gli piaceva trascorrere il tempo per riappropriarsi dei ricordi della sua infanzia.
L’immagine di quest’omone seduto in carrozzina e portato in riva, in acqua, è una delle scene più dolci del film. Franco, in tedesco libero, un uomo dal carattere mite e pragmatico sicuramente, nell’acqua sembra quasi un bambino nel feto della madre.
La telecamera lo inquadra rilassato e pacifico con l’acqua al petto, all’altezza del cuore, close up sul volto iconico e poi si tira via come indicare un passaggio del tempo lontano.
Altra inquadratura, un po’ giocosa in questo caso, è la low angle shot di molti di loro. Questa inquadratura dà la sensazione che il personaggio, o parte di esso, sia più grande quasi ad evidenziarne le caratteristiche, sottolineare un trascorso emotivo.
Per concludere, ci chiediamo. E il punto di vista? E’ il nostro. Ci troviamo coinvolti in prima persona. Lo stesso Vendruscolo si unisce in questa cosa. Ricordiamo che il regista ha vissuto un’esperienza come obiettore. I suoi e i nostri pensieri si mischiano a quelli di chi è in scena, creando un sonoro che è mesto e reale. La mancanza della colonna sonora indica la volontà di non indulgere a nessun pietismo. Lo stesso vale per la regia un po’ sporca.
Un bellissimo film, degno del premio.