Cultura

Il diritto di cambiare: la recensione

 L’8 marzo, in occasione della festa della donna, esce nelle sale italiane il film Il diritto di contare. Tratto dal romanzo omonimo di Margot Lee Shatterly, il film, candidato a 3 premi Oscar, narra la storia vera del contributo fondamentale di tre donne afroamericane al programma spaziale delle NASA che ha realizzato i primi lanci dei razzi americani, consentendo così agli USA di raggiungere e battere gli avversari russi nella corsa verso la conquista dello spazio.


Le protagoniste del film sono tre geni. Dorothy Vaughan, interpretata da Octavia Spencer (vincitrice del premio oscar come miglior attrice non protagonista per questo ruolo), divenne ben presto responsabile del reparto di calcolo, formato da un gruppo di donne di colore reclutate fra le migliori insegnanti di matematica delle scuole afro-americane. Mary Jackson (Janelle Monáe), laureata in matematica e fisica, entrò alla NASA come ingegnere aerospaziale, mentre Katherine Johnson (Taraji Penda Henson), precocissimo genio matematico, è stata una delle prime donne di colore a laurearsi alla West Virginia University ed ha ricoperto un ruolo fondamentale nei calcoli necessari al lancio in orbita dell’astronauta John Glenn.

Mentre mandava gli uomini nello spazio con sistemi sempre più sofisticati, l’America razzista del profondo Sud si perdeva in un bicchier d’acqua sfruttando la forza del lavoro intellettuale della popolazione afro-americana, evidenziando così una palese contraddizione fra il progresso della scienza e il regresso dei diritti civili. Quando la matematica Katherine viene spostata dal reparto di calcolo dove lavorano solo le persone di colore al reparto centrale, dominato dai bianchi, ella deve subire le fredde angherie razziste dei colleghi, percorrendo più di un chilometro soltanto per andare al bagno riservato ai “colored”.

L’apertura mentale che ci si aspetterebbe dagli scienziati appartiene nel film a pochi illuminati come nel caso del bel personaggio di Kevin Costner, che interpreta il capo del reparto Al Harrison, il quale materialmente rompe l’insegna che distingue i bagni dei neri da quelli dei bianchi. Una scena fortemente simbolica sull’abbattimento delle differenze che si rende necessario per il raggiungimento dei più nobili e comuni obiettivi in nome della scienza e del servizio al proprio paese.


Il diritto di contare ha il merito di rendere finalmente noti fatti sconosciuti e destinati all’oblio della storia. Il film, diretto da Theodore Melfi, celebra l’edificante parabola di tre grandi donne dalle doti intellettuali straordinarie, che riuscirono a farsi largo in un campo lavorativo scientifico, ancora oggi ritenuto più congeniale alla mente maschile, e in un contesto storico, politico e sociale non soltanto sessista ma soprattutto fortemente razzista.

Le tre protagoniste del film sono portatrici di un meraviglioso esempio di emancipazione femminile a suon di cultura e intelligenza; esse lottano per il diritto di contare, termine che qui viene usato nel senso duplice di affermarsi nel mondo, uscendo da una condizione di subalternità e prendendosi i meriti del proprio lavoro, e di operare i calcoli matematici, riaffermando il proprio diritto all’istruzione o a ricoprire il ruolo adeguato ai propri studi, sfruttando a pieno le proprie capacità e lottando per il loro riconoscimento, soprattutto in termini di retribuzione e possibilità di carriera.  

Lo stile convenzionale, completamente al servizio della narrazione, non può essere additato come un difetto ma come uno strumento che si rende necessario per raccontare una storia forte, per parlare di uguaglianza e trasmettere ad un pubblico più vasto possibile i valori universali dei diritti umani delle donne, tra cui il fondamentale diritto all’istruzione e alle pari opportunità nel mondo del lavoro, diritti ancora negati o non rispettati pienamente in troppe zone del mondo.

Il diritto di contare è un film didascalico nel senso migliore e non dispregiativo del termine.


Un film necessario per ricordarci che dovrebbe essere otto marzo tutti i giorni e per tutte le donne del mondo.

 

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Leila Tavi

Leila Tavi is a journalist specialized in Russian Politics and Culture and PhD c. in Russian History at the University of Vienna under the supervision of Prof. Andreas Kappeler. She studied Political Science in Vienna and Rome, graduating in History of Eastern Europe at Roma Tre University, with Prof. Francesco Guida and a thesis on travel reports about Saint Petersburg by West Europeans at the beginning of the XIX Century. Previously she obtained a degree in Foreign Languages, with a specialization in German Philology at the University of Rome «La Sapienza». Her new book "East of the Danube" is coming soon.