Omino71: Intervista a un artista biPOPlare urbano
Omino71 nasce nel 1971 a Roma, città dove vive e lavora. Un artista attivo già dagli anni novanta che rappresenta – con colori decisamente saturi – supereroi, santi, giocattoli e bambini.
I suoi lavori si possono ammirare sia su muri cittadini con murales, poster e sticker, sia attraverso le sue mostre personali e collettive in varie gallerie e musei in Italia e all’estero.
Negli anni Omino71 ha realizzato installazioni per il M.A.C.RO. (Museo di Arte Contemporanea Roma), la Casa dell’Architettura di Roma (ex Acquario Romano) e il Teatro Palladium di Roma, ma ha anche collaborato con progetti che hanno coinvolto gli spazi e i progetti autogestiti della capitale (M.A.A.M., Urban Area, M.U.Ro e Muracci Nostri).
Alcune delle opere di Omino71 sono state ospitate in realtà istituzionali internazionali quali il Museo di Storia e Archeologia di Costanza, il Palazzo del Parlamento di Bucarest e il Museo di Arte Contemporanea di Sofia.
I lavori di Omino71 sono stati recensiti su diversi media nazionali (Sky Arte, L’Unità, La Repubblica, Corriere della Sera, L’Espresso, Il Messaggero, XL) e internazionali (Le Monde, Time, CNN, Huffington Post), nonché su pubblicazioni di settore (Hi-Fructose, Exibart, ArtTribune), cataloghi e libri di arte.
1) Chi è Omino 71?
Un piccolo-uomo-bambino eternamente insoddisfatto, un bambino mai cresciuto o un uomo che prova a conservare qualcosa del bambino che è stato, non lo so, forse in questo momento sono solo una delle 71 possibili e diverse personalità di un biPOPlare urbano qualsiasi (quindi potresti farmi 71 volte la stessa domanda e potrei risponderti in altrettanti modi diversi).
2) Come è cominciato il tuo percorso artistico?
Da outsider che avvertiva la necessità di lasciare il suo segno in giro, vandalo ma non troppo, mai abbastanza artistico, comunque sempre inadeguato. Se disegnare è non accontentarsi della realtà, non rappresentare la realtà visiva ma creare una nuova e differente realtà, non so quando ho veramente iniziato, posso però dire che ho cominciato a farmi riconoscere con i primi stencil e sticker lasciati in giro per gioco, con l’intento di distrarre il passante e tracciare percorsi alternativi al routinario casa-studio-lavoro-casa, poi è arrivato tutto il resto.
3) Da cosa trai ispirazione?
Sono un manipolatore di immagini e se è vero che ognuno ha l’immaginario che si merita, il mio è un frullato di sottoculture urbane e POPolari del ventesimo secolo. In estrema sintesi la mia idea di arte è quella della video installazione “The Clock” di Christian Marclay, tanto apparentemente lontana quanto vicina a quello che faccio con i miei scarabocchi.
4) Quali tecniche prediligi
Adoro gli Uniposca, non posso farne a meno, sono un feticcio, un amuleto, uno strumento e forse anche una tecnica-non-tecnica. Per la strada prediligo attaccare i miei disegni fatti in studio su leggerissimi fogli di carta velina.
5) Quale opera ti ha emozionato di più e quale ti ha fatto dannare l’anima?
Posso essere più o meno soddisfatto del processo e del risultato di un’opera, ma non credo di essermi mai emozionato per quello che faccio. Sono tante le opere di cui vado fiero (dal piccolo sketch al grande murale, passando per l’installazione museale o il dipinto su tela), ma sono sicuramente molte di più quelle che vorrei lasciarmi alle spalle. In questo momento per esempio mi sono invischiato in esperimenti geometrici basati sui poliedri regolari, Walt Disney e le avanguardie artistiche di inizio Novecento, nel tentativo di mediare l’esigenza del figurativo con la pulsione per l’astratto, pur essendo consapevole che tra un po’ di tempo mi sembreranno solo degli esercizi inutili, perché tutto è veramente molto relativo e funzionale al momento creativo che sto attraversando. Sono un irrequieto, quindi non faccio in tempo a cominciare un progetto che sto già smaniando per liberarmene e dedicarmi a qualcosa di altro: ho un taccuino pieno di idee da realizzare e più passa il tempo e più mi rendo conto che l’opera potrebbe essere proprio quella della sua idea rimasta incompiuta.
Passando alla seconda parte della domanda, ci sono opere che mi hanno fatto dannare l’anima già nella fase di progettazione, soprattutto quando ho cercato di dare vita a una narrazione coerente e verosimile, altre volte invece le difficoltà si esauriscono nella solo fase esecutiva, spesso quando c’è di mezzo il “circo” dei cantieri. Se però ne devo citarne una come sintesi, mi piace ricordare l’esperienza dell’atelier presso il M.A.C.RO. Asilo, per la quale sono stato chiuso per sei giorni in un cubo di vetro a realizzare dal vivo, davanti al pubblico, un sarcofago egizio in scala 1:1, che era anche la mia capsula del tempo, una cosa non affatto semplice fin dalla sua fase di ideazione, ma come diceva Jane Fonda “No pain, no gain.”
6) Quali sono i tuoi progetti futuri?
Pedalare con la mia nuova bicicletta.
Intervista e foto di Silvia Brutti