Roma Whisky Festival 2019: parola all’esperto Pino Perrone
Intervista in esclusiva a Pino Perrone, Whisky Consultant del Roma Whisky Festival, il più importante festival di settore in Italia, la cui ottava edizione si tiene a Roma, sabato 2 e domenica 3 marzo 2019, presso il Salone delle Fontane all’Eur.
Il Festival ha il fine di radunare appassionati della materia, ma anche di crearne nuovi, a tal scopo la previsione di “mini-corsi sull’ABC del whisky”. Immagina allora di dover rispondere alle domande di un totale inesperto: cos’è il whisky? Quali sono le sue origini? Quali le principali categorie?
Riteniamo sia importante non dare nulla per scontato e prevedere di dover avere a che fare con persone totalmente ignare circa la realtà del whisky. Per questa ragione abbiamo previsto dei corsi ABC del Whisky della durata di 25 minuti circa cadauno presso il nostro festival. Nel corso dell’anno gli stessi, in una forma più ampia di due giornate, costituiscono la base della nostra didattica Whisky Academy. Il whisky è un distillato frutto della fermentazione di un mosto di cereali, molto prossimo a una birra. Le sue origini sono antichissime. Tuttavia, nell’espressione attuale, l’origine deriva dall’Irlanda che l’ha poi trasmessa alla Scozia, Paese principale produttore nonché quello che ha consentito fosse noto nell’intero globo.
Sei ormai da alcuni anni nel business del whisky, ma sei prima di tutto un grande appassionato. Com’è nato il tuo “amore” verso questo distillato? Perché il whisky e non, tanto per fare un esempio, la vodka?
“La vodka è volgare” cit. Jep Gambardella da “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino. Un gourmet non può amare la vodka e se lo fa ha la consapevolezza che prima di essa, nel mondo dei distillati, vengono tantissimi altri. In primis il whisky. Pertanto i due non sono minimamente paragonabili. Detto questo, la mia passione deriva, come spesso mi capita di dire, dalla lettura di un libro scritto da un autore spagnolo, Manuel Vázquez Montalbán, nel lontano 1992. Il detective privato Pepe Carvalho, beveva spesso un whisky single malt e così, incuriosito, ho cominciato a cercarli per poterli bere. Da lì si è verificato un effetto-domino determinato da una travolgente passione.
Raymond Chandler, uno dei più grandi autori di gialli made in U.S.A. ha dichiarato: “Non esiste whisky cattivo, ci sono solo whisky che non sono buoni quanto altri”. Cercando di definire meglio la categoria “altri” cui si riferiva lo scrittore, quali caratteristiche deve avere un buon whisky?
Sacrosanta la frase dello scrittore noir americano. Chissà se era pure un sereno giudizio e se abbia avuto modo di assaggiare quelli che opinion leader di oggi ritengono i grandi whisky. Le caratteristiche che deve avere sono fondamentalmente quelle che ci si aspetterebbe anche da altre bevande, come il vino. Deve essere armonico, profondo, intenso, tentare di essere evocativo di un ricordo o un’emozione…ecco, deve avere la capacità di emozionare, mai essere amaro, né pungente. Deve avere un bouquet variegato di aromi e persistente nel sapore.
Se si pensa agli alcolici ad alta gradazione della nostra tradizione nazionale, vengono per lo più in mente amari, limoncelli e, per annoverare il distillato italiano per eccellenza, la grappa. Negli ultimi anni, il whisky sembra però ritagliarsi sempre più spazio e attirare nuovi consumatori: confermi questa tendenza? Quali possono essere le ragioni alla base di questo cambiamento?
Giustissimo. Innanzitutto, facciamo sempre la dovuta distinzione fra ciò che sono distillati e ciò che non lo sono. Amari e limoncello non sono distillati. Mentre la grappa e il distillato di frutta lo sono. Il consumo del whisky è effettivamente in crescita. Il cambiamento è percepibile e le ragioni possono essere molteplici. Una certamente è perché si tratta di una tendenza a livello mondiale. Un’altra potrebbe dipendere dal fatto che, se è vero quello che noi da sempre riteniamo e sosteniamo – e cioè d’esser di fronte al miglior distillato esistente – prima o poi doveva accadere che il grande pubblico prendesse consapevolezza di questo.
Rimanendo in tema rapporto Italia-whisky, credi che un domani sarà possibile per una distilleria italiana produrre un whisky di alta qualità?
Questo sta già accadendo: la Puni della Val Venosta è operativa da cinque anni, produce dei validi whisky e recentemente anche con un single malt. Da tenere d’occhio nel futuro.
Assolute novità di questa ottava edizione sono la Bowmore Room Experience e una mostra dedicata, cito letteralmente la locandina, all’architettura e al design nel mondo del whisky. Puoi darci qualche maggior dettaglio al riguardo?
Nella Bowmore Room Experience si avrà l’opportunità di fare un viaggio sensoriale a vari livelli con questo whisky torbato proveniente dalla scozzese isola di Islay. La mostra fotografica, invece, proviene dallo studio di architettura Threesixty Architecture di Glasgow, impegnato nella progettazione di una nuova distilleria a Edimburgo. Sarà interessantissimo vedere cosa avviene nel tempo, essendo abituati a conoscere solo direttamente il prodotto finito e imbottigliato.
Chiudiamo infine con quelli che possiamo definire i “consigli dell’esperto”. Qual è il miglior whisky che hai bevuto e quale, visto che nel festival ci sarà anche spazio per bartending di alta qualità, il tuo cocktail preferito a base whisky?
Mi spiace ma non posso rispondere a una domanda così specifica, non perché non voglia, ma semplicemente poiché un vero amante del whisky ne avrà molti. Per quel che concerne i cocktail, tendo a prendere spesso il Brooklyn, una variante del Manhattan con aggiunta di Maraschino e Amer Picon, caduto in disuso al termine del Proibizionismo. Purché fatto con un ottimo rye e non con Canadian whisky!
– Matteo Mastromarino
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Leggi qui il programma completo del Festival.
A proposito di caffè.